Crea un brand affidabile
Perché i brand di moda etica e sostenibile hanno il futuro assicurato
lunedì 18 gennaio 2021
Leggi la nostra guida completa e scopri quali sono le nuove tendenze fra i consumatori nel settore del fashion.
I consumatori stanno cambiando la loro mentalità e il loro comportamento nell'acquisto di capi di abbigliamento, e gli effetti di tali cambiamenti sono destinati a lasciare un segno per i brand e i rivenditori di moda.
I lockdown nazionali e locali causati dalla pandemia da coronavirus hanno accelerato un cambiamento di mentalità tra gli shopper, portandoli ad essere più attenti gli uni verso gli altri e verso l'ambiente. Le community si sono riunite per combattere un nemico comune e hanno fatto il punto sui valori per loro importanti, che adesso vogliono vedere riflessi nei brand da cui acquistano.
In che modo le politiche sull'ambiente, le condizioni di lavoro e le questioni sociali influenzano i consumatori di oggi?
L'ultimo sondaggio di Trustpilot condotto a livello internazionale in collaborazione con London Research ha dimostrato che non solo gli amanti della moda sono più cauti nello spendere quest'anno, ma sono anche estremamente consapevoli della necessità di acquistare articoli da marchi di moda e rivenditori con forti pratiche etiche e di sostenibilità.
Per i brand e i negozianti che operano nel settore del fashion, si tratta dunque di un'opportunità per raggiungere tutti quei consumatori interessati ad acquistare da aziende che si prendono cura dei lavoratori all'interno della loro filiera produttiva, oltre che dell'ambiente.
Ecco perché i brand dovrebbero tenere conto di ciò che i consumatori si aspettano da loro in termini di etica e sostenibilità, così come è emerso da questa ricerca.
Cinque tendenze chiave che definiranno il futuro dei brand del fashion
1. Quattro clienti su cinque vengono influenzati dalle scelte etiche
Le taglie e la vestibilità non sono gli unici aspetti da prendere in considerazione. I brand e i negozi di moda devono prendere coscienza del fatto che la tutela dei lavoratori lungo l'intera filiera e il rispetto dell'ambiente sono ormai parte integrante delle decisioni di acquisto di un cliente.
Più di quattro consumatori su cinque (esattamente l'82%) hanno dichiarato che smetterebbero sicuramente (il 31%) o probabilmente (il 51%) di acquistare da un brand che si è rivelato essere privo di standard etici.
2. I consumatori sono prudenti nello spendere i propri soldi
La recessione innescata dalla pandemia globale sta modificando le abitudini di consumo nel campo della moda. Poco meno di tre quarti dei consumatori (ossia il 72%) spendono di meno o la stessa cifra rispetto a prima della pandemia.
L'abbigliamento casual e per il tempo libero è la categoria con la più alta percentuale di consumatori che hanno aumentato la spesa (21%), e questo anche in considerazione del fatto che, in diversi settori, i lavoratori hanno cominciato a lavorare da casa. Questa percentuale risulta addirittura quasi il doppio, se paragonata a quella di chi acquista abbigliamento formale o articoli di lusso.
3. Gli amanti della moda si fidano delle recensioni e si fidano gli uni degli altri
I consumatori sono alla ricerca di brand e negozi di moda con solide strategie etiche e di sostenibilità.
Per capire quali marchi soddisfano questi criteri, attingono notizie da molte fonti, ma è soprattutto gli uni degli altri che si fidano maggiormente - l'89% dei consumatori ha espresso infatti un livello di fiducia alto o medio nel passaparola e l'85% nelle valutazioni e nelle recensioni.
La fiducia riposta nel passaparola e nelle recensioni è da due a tre volte superiore rispetto ad altre fonti quali riviste, pubblicità e i siti web dei brand stessi. La fonte di informazioni di cui ci si fida di meno sono le celebrità influencer. La gente infatti tende a fidarsi delle recensioni tre volte di più di quanto non si fidi di un personaggio famoso che pubblicizza un prodotto di moda sui social media.
4. I consumatori sono attenti ai principi etici dei brand e agiscono di conseguenza
Secondo quanto emerso dalla ricerca, i brand non dovrebbero rimandare oltre, ma prendere immediatamente posizione sulle questioni etiche, dal momento che i consumatori stanno già agendo secondo le proprie convinzioni e la propria morale. Più della metà (il 54%) di essi afferma che l'attenzione dei brand verso le condizioni di lavoro e le politiche di sostenibilità, hanno giocato un ruolo fondamentale nello spingerli ad acquistare (o a non acquistare) articoli di moda.
Quasi altrettanti consumatori (il 41%) sono stati influenzati dall'attenzione dei retailer alle politiche sulla diversità e l'inclusione, mentre il 33% si è lasciato influenzare dal fatto che un marchio fingesse di essere etico, mentre in realtà non portava avanti alcuna azione veramente efficace ("slacktivism").
I consumatori si fidano del passaparola e delle opinioni dei clienti rispettivamente tre e due volte di più rispetto alle informazioni diffuse dai media. I brand più attenti dovrebbero perciò cogliere l'importanza di comunicare al loro pubblico in che modo le loro strategie etiche e ambientali soddisfano le aspettative degli shopper di oggi. In questo modo, la loro sensibilità a tali tematiche trasparirebbe dal dialogo che si verrebbe a instaurare con i loro clienti all'interno delle recensioni.
5. I brand possono trarre spunto dal desiderio di etica e di sostenibilità dei consumatori
I clienti hanno rivelato quello che vogliono vedere dai brand e dai rivenditori di moda. Per il 46% di essi, l'impegno a favore di buone pratiche di lavoro lungo tutta la filiera produttiva e dell'utilizzo di imballaggi ecologici rivestono la medesima massima priorità, seguite da un servizio di riciclaggio, che ha ricevuto il 41% delle preferenze.
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Introduzione – Per i consumatori più avveduti, i valori contano di più di qualsiasi sconto
I consumatori stanno cambiando la loro mentalità e il loro comportamento nell'acquisto di capi di abbigliamento, e gli effetti di tali cambiamenti sono destinati a lasciare un segno per i brand e i rivenditori di moda.
I lockdown nazionali e locali causati dalla pandemia da coronavirus hanno accelerato un cambiamento di mentalità tra gli shopper, portandoli ad essere più attenti gli uni verso gli altri e verso l'ambiente. Le community si sono riunite per combattere un nemico comune e hanno fatto il punto sui valori per loro importanti, che adesso vogliono vedere riflessi nei brand da cui acquistano.
Ciò ha spinto London Research, in collaborazione con Trustpilot, a chiedere agli appassionati di moda di Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Paesi Bassi, Italia e Svezia di indicare l'importanza che i valori del brand rivestono in relazione a temi quali la sostenibilità, le condizioni di lavoro e la diversità. Su quali principi ci si aspetta che le case di moda e i loro rivenditori si basino?
Inoltre, come fanno a sapere se sono veramente impegnate a favore delle cause che dicono di sostenere e a chi si affidano i consumatori raccogliere le necessarie informazioni e farsi un'idea più precisa?
Prima la sostenibilità e poi gli sconti
La ricerca di McKinsey ha già dimostrato che il lockdown ha costretto i consumatori del settore moda a rivedere le loro priorità. Molto più che offerte, promozioni e sconti, gli shopper desiderano che i brand tutelino l'ambiente e il benessere dei loro dipendenti e dei lavoratori lungo tutta la filiera.
Questo indica un significativo cambiamento nelle priorità dei consumatori, secondo la giornalista di moda Olivia Pinnock. La scrittrice ha creato una serie di eventi, chiamati The Fashion Debates (Dibattiti sulla moda), attraverso i quali il settore può riunirsi per discutere su come risanare la cattiva reputazione di avere da sempre avuto una scarsa attenzione verso le condizioni di lavoro e la sostenibilità.
"Dopo gli scandali degli anni '80 e '90, la questione sembrava essere stata spazzata via sotto il tappeto" — dice.
"Ora, però, siamo di fronte a una generazione che è consapevole del fatto che comprare una maglietta per 5 sterline non può essere considerato etico, quando ci sono così tante persone nella filiera di produzione da pagare". Ci sono anche molti dirigenti che spingono per un vero cambiamento, perché sono rimasti scioccati dai precedenti di questo settore e non vogliono più esserne complici".
Pinnock ritiene che la spinta al cambiamento sia reale e che si basi sull'evoluzione della mentalità dei consumatori. Ci sono però due grandi sfide. "I tagli del fast fashion sui diritti dei lavoratori e sull'ambiente ci hanno abituati tutti all'abbigliamento a buon mercato" — spiega.
"Hanno alterato la nostra percezione dei costi. E poi c'è la questione della disponibilità. La stragrande maggioranza dei vestiti, al di fuori di una pandemia, viene acquistata nei negozi e sono solo le grandi catene che offrono prezzi altamente competitivi, a potersi permettere di aprire filiali in ogni città".
I consumatori spendono... ma con cautela
Non sorprende che, nel bel mezzo della pandemia globale da coronavirus, la maggior parte degli intervistati non spenda di più in moda. Al contrario, tende a spendere come prima o addirittura a risparmiare.
In media, il 28% dei rispondenti al sondaggio ha affermato di spendere di più. Il 25% ha dichiarato di spendere esattamente quanto prima della pandemia, mentre quasi la metà (il 47%) ha rivelato di aver fatto dei tagli (Figura 1).
Come mostrato nella Figura 2, la categoria che si distingue per l'aumento della spesa è quella dell'abbigliamento casual e per il tempo libero (21% dei consumatori), quasi il doppio della percentuale degli intervistati che spende di più per l'abbigliamento di lusso (11%) e decisamente di più della percentuale di consumatori che ha incrementato la propria spesa per l'abbigliamento elegante (13%).
In tutti i mercati internazionali presi in esame, coloro che sono stati sottoposti a misure di isolamento e di distanziamento sociale hanno chiaramente dato priorità all'abbigliamento comodo per uso domestico, rispetto alla spesa per l'abbigliamento formale per l'ufficio o ai costosi articoli di lusso per le serate in grande stile.
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I consumatori negli Stati Uniti tendono a spendere di più per l'abbigliamento casual (28%), le calzature (20%), l'abbigliamento elegante (20%) e i prodotti di lusso (15%) rispetto a quelli degli altri Paesi presi in esame.
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Il Regno Unito, che si prepara a registrare la peggiore recessione economica di sempre, è in testa alla classifica degli acquirenti più cauti. Poco più di un quinto di essi (il 22%) rivela di aver tagliato la spesa per la moda di oltre la metà.
Più prudenti... o semplicemente più coscienziosi?
Che i consumatori siano più cauti quando si tratta di spese che riguardano la moda, è un dato ormai chiaro. Il fatto che si tratti di una decisione di natura economica o di una scelta ambientalista si capirà meglio quando la situazione si sarà stabilizzata e la recessione globale causata dalla pandemia si sarà attenuata.
La riduzione dei consumi è ciò che Olivia Pinnock definisce "l'elefante nella stanza". Oltre a cercare le etichette del commercio equo e solidale e a esigere l'impegno da parte dei brand a rispettare gli standard etici e ambientali, ritiene che i consumatori moderni si renderanno presto conto di dover acquistare meno vestiti.
Si tratta di un messaggio a cui ha fatto eco Laurel Wolfe, VP of Marketing presso la piattaforma di pagamento differito Klarna.
"La pandemia ci ha fatto riflettere attentamente su come, dove e perché fare acquisti - che si tratti di acquisti online oppure in negozio o con marchi locali più piccoli", ha affermato.
"Per noi, questo ha significato aiutare le persone a essere consumatori responsabili e a fare in modo che comprino oggetti che useranno e apprezzeranno veramente". Abbiamo condotto delle campagne, in particolare con degli influencer, rifacendoci ai consigli sulla gestione del capitale che offriamo sul nostro sito e invitando i consumatori a 'porsi tre domande', prima di acquistare un determinato prodotto: È veramente ciò che voglio? Lo userò? Ne vale la pena?"
Il messaggio sottolinea come il mercato, nell'essere più attento a come vengono trattati i lavoratori della filiera produttiva e a mitigare l'impatto dell'industria sull'ambiente, si stia evolvendo per ritornare a ciò che era prima dell'avvento del 'fast fashion'.
I consumatori si fidano gli uni degli altri e delle recensioni, non delle celebrità e delle riviste
La gente è indubbiamente più cauta nel fare acquisti, data la grande incertezza che grava sull'economia globale. Con i budget ridotti, i consumatori cercano di essere sicuri che gli articoli che acquistano siano adatti a loro. Ma questo non riguarda più l'aspetto, le dimensioni e il prezzo.
Come dimostrato dalla nostra indagine, i clienti sono attratti da brand che condividono i loro stessi valori etici e sono gentili con i loro lavoratori e con il pianeta. Con l'etica, la sostenibilità e l'ambientalismo che giocano un ruolo importante nelle decisioni d'acquisto, a chi si possono affidare i consumatori per ottenere consigli su cosa comprare?
Qui, la ricerca fornisce una risposta che non lascia spazio a dubbi. I consumatori si fidano gli uni degli altri. Il passaparola di amici e parenti è la fonte più accreditata tra gli shopper, con il 44% che ne che ne attribuisce un livello di fiducia "alto". Seguono le valutazioni e le recensioni dei consumatori (36%) (Figura 3).
In totale, l'89% dei consumatori attribuisce un alto o medio livello di fiducia al passaparola, mentre l'85%, invece, lo attribuisce alle valutazioni e alle recensioni.
Queste due tipologie sono due o tre volte più affidabili di altre fonti di informazioni di alto profilo sulla moda, come riviste, pubblicità e social media.
La moda è un settore pieno di noti stilisti, modelle e celebrità che vengono seguiti ogni giorno per quello che indossano. Ciononostante, un elemento chiave emerso dalla ricerca è che le celebrità influencer sono poco attendibili come fonte di informazione secondo quasi due consumatori su tre (63%).
La ricerca non potrebbe essere più chiara. I consumatori vogliono prendere le giuste decisioni in materia di moda, di vestibilità, di prezzo e di look, ma anche di sostenibilità ed etica. Quando si tratta di prendere tali decisioni, si fidano molto di più dei consigli o dei giudizi degli altri piuttosto che dei social media e della pubblicità, dove i brand pagano cifre esorbitanti per farsi notare.
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Gli Stati Uniti e l'Italia si distinguono per essere i mercati in cui le recensioni godono di maggior fiducia (43% dei consumatori).
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Quasi la metà dei consumatori di Svezia e Paesi Bassi (rispettivamente il 49% e il 48%) dichiara di fidarsi maggiormente del passaparola.
La fedeltà del cliente dipende dall'etica
Tutti hanno bisogno di vestiti ed è ragionevole affermare che la forza trainante nelle decisioni di acquisto dipenderà dall'abbinamento dei capi con il senso dello stile e del budget delle persone. Tuttavia, all'immagine e al prezzo si aggiunge sempre più spesso un nuovo criterio. I clienti vogliono essere certi che un'azienda condivida i loro stessi valori.
Molti di noi desiderano avere la consapevolezza che un business sia gestito in modo etico e che faccia del suo meglio per garantire che le persone che vi lavorano all'interno siano trattate con rispetto e pagate in modo adeguato, senza perdere di vista l'attenzione alla sostenibilità.
Uno dei principali risultati di questa ricerca è che più di quattro clienti su cinque (l'82%) smetterebbero "sicuramente" (il 31%) o "probabilmente" (il 51%) di acquistare da un determinato marchio che si è rivelato essere privo di standard etici (Figura 4).
Questo risultato dovrebbe servire da monito per i brand che non hanno ancora messo l'etica al centro della loro strategia aziendale. Mentre quasi un terzo interromperebbe decisamente la propria attività se venissero scoperte pratiche non etiche all'interno dell'azienda o, più in generale, della filiera produttiva, metà del mercato prenderebbe in considerazione questa eventualità.
Questa non è solo una situazione ipotetica. Per qualsiasi brand di moda che si stia chiedendo quando il mercato si evolverà fino al punto in cui la cattiva pubblicità sulla propria etica gli farà perdere clienti, la risposta è che ciò sta già accadendo.
Più della metà dei consumatori (il 54%) afferma infatti che l'attenzione alle condizioni di lavoro e le politiche di sostenibilità dei brand hanno influenzato la scelta di acquistarne (o di non acquistarne) gli articoli in vendita (Figura 5). Quasi altrettanti consumatori (il 41%) sono stati influenzati dall'attenzione alle politiche sulla diversità e l'inclusione dei rivenditori di moda, mentre il 33% si è fatto influenzare dal fatto che un marchio fingesse di essere etico, mentre in realtà non portava avanti alcuna azione veramente efficace ("slacktivism").
Sophie Slater, che ha co-fondato l'azienda di moda etica femminile online Birdsong, non è sorpresa dei risultati. I lavoratori dell'azienda di Londra sono pagati secondo il London Living Wage, per produrre capi di abbigliamento in cotone biologico confezionati da un ente di beneficenza che sostiene gli adulti con difficoltà di apprendimento. Proteggere il personale dal Covid-19 ha significato chiudere la produzione, potendo comunque contare sul fatto che i clienti avrebbero accettato dei ritardi nelle consegne, perché la moda etica non è il fast fashion.
"Abbiamo visto le aziende del settore della moda parlare di sostenibilità negli ultimi anni, ma nel corso dell'ultimo anno si è sicuramente assistito a un aumento delle persone che tengono la questione etica in forte considerazione", dice.
"La gente ha visto in che modo brand molto noti trattano i lavoratori nelle fabbriche di Leicester (nel Regno Unito)... per questo il fast fashion ha ricevuto molta cattiva pubblicità. Noi ci affidiamo alla buona stampa e ai social media per far arrivare il nostro messaggio a tutti coloro che hanno a cuore l'inclusione sociale e il trattamento etico dei lavoratori; ecco perché pagheranno un po' di più per i vestiti confezionati da persone che vengono retribuite secondo il London Living Wage."
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I consumatori italiani sono senza dubbio i primi quando si tratta di prendere decisioni d'acquisto basate sulla copertura mediatica dei brand. Più di 3 su 4, infatti, sono stati influenzati da storie circa l'etica dei brand (il 79%) e le condizioni lavorative che questi offrono (il 77%). Ciò, con ogni probabilità, è dovuto al fatto che l'Italia è il primo produttore di abbigliamento in Europa, per cui l'impatto ambientale e le condizioni lavorative sono fattori che toccano più da vicino gli acquirenti italiani.
Fiducia - conquistare la metà "moderatamente fiduciosa" dimostrando attenzione per i lavoratori e per la natura
La buona notizia per il settore in generale è che più di un quarto dei consumatori (il 28%) esprime un livello di fiducia "molto" (il 9%) o "abbastanza" (il 19%) elevato nei confronti dei brand di moda e dei rivenditori per quanto riguarda i loro standard etici (Figura 6).
La cattiva notizia è che questo dato viene annullato dal fatto che un quarto dei consumatori del settore (il 26%) dichiara di avere un livello di fiducia "molto" (7%) o "abbastanza" (19%) basso nei confronti degli stessi brand e rivenditori. Questo lascia quasi la metà dei consumatori (il 46%) in disparte, con un livello moderato di fiducia nel settore.
Con un quarto del mercato che si fida del settore e un quarto che invece non lo fa, la vera sfida è chiaramente quella di conquistare i cuori e le menti della restante metà, che mantiene una posizione abbastanza neutrale.
Dato che quattro intervistati su cinque hanno anche rivelato di essere pronti a boicottare un marchio che tratta i lavoratori o l'ambiente con negligenza, l'obiettivo dovrebbe essere quello di convincere i consumatori moderatamente fiduciosi, che un determinato brand si impegna veramente a trattare con rispetto i propri lavoratori e il pianeta.
Il brand di moda ecosostenibile SANVT (che in tedesco significa "gentile con la natura") sta sperimentando nuovi modi per accrescere la fiducia del suo pubblico. L'Head of marketing e co-fondatore dell'azienda, Benjamin Heyd, rivela che l'azienda si dedica a lavorare con fornitori che utilizzano cotone biologico e non impiegano sostanze chimiche tossiche nel processo di tintura. Per sottolineare questo aspetto, hanno adottato un approccio insolito per quanto riguarda la trasparenza e le promozioni.
"Manteniamo basso il nostro impatto ambientale e alti i nostri standard etici utilizzando una fabbrica nell'UE, in Portogallo", afferma.
"Offriamo un tour virtuale della fabbrica, per dare alla gente la possibilità di vedere con i propri occhi gli elevati standard a cui ci atteniamo. Inoltre, non offriamo promozioni mirate ad aumentare le vendite, ma solo la possibilità di piantare più alberi all'interno del nostro programma di compensazione delle emissioni di anidride carbonica, ogni volta che le persone acquistano gli articoli pubblicizzati. Non credo che siamo ancora arrivati al punto in cui la sostenibilità sia l'aspetto più determinante nella scelta di un brand, rispetto al design e alla vestibilità dei capi di abbigliamento che questo produce. Tuttavia, si tratta di una prospettiva destinata a diventare realtà nel lungo periodo, e i brand dovranno presto essere in grado di dimostrare ai consumatori di essere eco-friendly ed etici".
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La Svezia e i Paesi Bassi si distinguono per essere i mercati con la più bassa considerazione dei marchi di moda e dei loro rivenditori. In ciascun mercato, solo il 4% dei consumatori si fida molto di loro. Segue la Francia, in cui a malapena il 5% dei consumatori esprime un livello di fiducia alto.
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Gli Stati Uniti hanno il maggiore livello di fiducia "molto alta" nei brand e nei rivenditori di moda (il 14%), seguito da un livello di fiducia "abbastanza alta" del 20%.
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Nel complesso, l'Italia è la nazione che ha maggiore fiducia, con più di un terzo dei consumatori (il 39%) che ha livelli di fiducia "molto" (8%) o "abbastanza" (31%) elevati.
I consumatori hanno bisogno di marchi di moda etica e sostenibile
È evidente che i consumatori del settore moda di oggi cominciano a cercare qualcosa di più di semplici oggetti che si adattino al loro stile. Si tengono alla larga da brand scoperti ad agire in modo non etico e non sostenibile. Inoltre, si aspettano che i brand abbraccino la diversità e si dimostrino inclusivi.
Quindi, cosa significa ciò in termini pratici? Quali sono le strategie, gli impegni e i servizi che i consumatori di oggi si augurano di vedere di più in futuro da parte dei marchi di moda e dei negozianti? Potendo indicare tre aspetti in grado di provare che un'azienda porta avanti azioni concrete e non fa soltanto chiacchiere, che cosa scelgono?
In cima alla classifica, per quasi la metà degli intervistati, troviamo pari merito l'impegno a garantire buone condizioni di lavoro lungo tutta la filiera produttiva e il packaging ecosostenibile (entrambi al 46%). Segue il servizio di riciclaggio al terzo posto (41%), mentre al quarto e al quinto si posizionano gli abiti realizzati con materiali riciclati (38%) e le iniziative volte a ridurre le emissioni di anidride carbonica (36%)(Figura 7).
Per il marchio di abbigliamento maschile The Savile Row Company, non è una grande sorpresa che l'imballaggio ecologico sia in cima alla lista, insieme all'etica.
La Marketing Director, Lee-Anne Harris, rivela che l'azienda ha sostituito i sacchetti di plastica con sacchetti biodegradabili fatti con la fecola delle patate, e ha rimpiazzato le tradizionali clip di plastica che tengono fermi i colletti e le spalline delle camicie con dei fermagli realizzati in carta.
"I dati che stiamo ricevendo dalle nostre recensioni su Trustpilot mostrano che i clienti stanno reagendo bene al fatto che gli ordini arrivano in imballaggi di carta riciclabile e in una busta biodegradabile", afferma.
"Non abbiamo preventivamente chiesto ai clienti cosa ne pensassero di questa iniziativa; per noi è stata una scelta naturale, perché è così che intendiamo il futuro, ed eravamo abbastanza sicuri che anche i nostri clienti la pensassero allo stesso modo. Bisognerebbe chiedersi piuttosto: perché no? È il minimo che si possa fare".
Al di là delle recensioni positive, la Harris conferma che l'imballaggio riciclabile è una caratteristica che i clienti apprezzano, ma che non richiedono ancora come standard. Tuttavia, ritiene che sia solo una questione di tempo prima che i clienti "pretendano dalle aziende di moda di rendere conto dell'enorme quantità di rifiuti in plastica che producono". Per questo è importante essere preparati per tempo.
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I consumatori americani sono molto più avanti rispetto a quelli europei per quanto riguarda i valori che vogliono rivedere nei marchi e nei rivenditori di moda che non sono stati inseriti nella lista dei principali cinque qui sopra. Tra questi vi sono la collaborazione con enti di beneficenza (35%), l'offerta di gamme di prodotti inclusivi (27%), la garanzia del rispetto della diversità nella pubblicità (26%) e la presa di posizione sulle questioni sociali (24%).
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Questi numeri sono molto probabilmente il risultato della profonda riflessione che gli americani stanno portando avanti recentemente, nell'anno in cui il movimento Black Lives Matter (BLM) ha guadagnato un'enorme forza trainante sia a livello nazionale che globale. Il sostegno ai brand che prendono posizione su questioni sociali quali il BLM, è più del doppio negli Stati Uniti rispetto a tutti gli altri Paesi presi in esame, ad eccezione dell'Italia.
Come i brand possono abbracciare l'etica e la sostenibilità
Conoscono la loro taglia, conoscono il loro stile e cominciano ad avere un'idea abbastanza chiara di cosa si aspettano dai marchi e dai retailer di moda. Ma quali sono gli indicatori che i consumatori cercano per scoprire se un marchio condivide i propri valori nel trattare le persone e l'ambiente dignitosamente e con cura?
La sfida per le aziende consiste nel fatto che non c'è un unico elemento distintivo che i consumatori cercano. Al contrario, ci sono quattro fattori chiave di fiducia che sono attivamente ricercati da poco più della metà (il 58% e il 59%) dei consumatori del settore moda (Figura 8).
Per gli intervistati, i valori e le politiche trasparenti, i badge e le certificazioni del commercio equo e solidale, le valutazioni e le recensioni sul sito e quelle esterne al sito rivestono mediamente tutti la stessa importanza.
Per il rivenditore online di moda di lusso FARFETCH si tratta di aspetti particolarmente importanti. Il suo Director of Sustainable Business, Thomas Berry, spiega che il brand non solo aiuta i clienti a fare acquisti più etici e sostenibili, ma offre anche programmi di rivendita per estendere la vita degli articoli.
"Come parte di Positively FARFETCH, abbiamo un'ampia collezione di articoli Conscious che i clienti possono acquistare, utilizzando sia i filtri, sia le nostre modifiche personalizzate, per assicurarsi di ottenere articoli che soddisfino buoni standard di sostenibilità e di certificazioni indipendenti", dice.
"Abbiamo anche due offerte di servizi che aiutano i nostri clienti a prolungare la vita dei capi e degli articoli inutilizzati. FARFETCH Second Life è un servizio di rivendita, attraverso il quale i clienti presentano un prodotto vecchio e ottengono un preventivo sul suo valore; successivamente organizziamo il ritiro e, una volta verificato l'articolo, il prezzo quotato viene aggiunto come credito al loro conto FARFETCH.
"Facciamo lo stesso con il nostro servizio FARFETCH Donate, attraverso il quale i clienti hanno la possibilità di riempire una borsa con qualsiasi articolo di moda che non desiderano più; gli articoli vengono poi venduti e parte dei proventi devoluti in favore degli enti di beneficenza scelti dai clienti stessi, mentre a loro viene riconosciuto il valore di un terzo del ricavato, sotto forma di credito FARFETCH. In entrambi i casi qualcun altro può godersi gli articoli rivenduti, mentre a tutti viene data la possibilità di fare la propria parte nell'aiutare l'ambiente, riducendo il consumo complessivo di articoli nuovi di fabbrica".
La prova che i clienti adesso vogliono fare acquisti più etici e sostenibili, secondo Berry, risiede nel fatto che le vendite della gamma Conscious stanno crescendo a una velocità significativamente maggiore rispetto al resto delle transazioni che hanno luogo sul sito. Inoltre, in tutto il settore, prevede che le vendite di abiti nuovi cresceranno al massimo del 3%, mentre quelle degli abiti usati aumenteranno tra il 15% e il 30%.
In conclusione
Probabilmente, gli elementi dominanti nel mondo della moda saranno sempre il look, il feeling, il design e il prezzo di un articolo. È però sempre più diffusa la consapevolezza di dover fare una cernita tra i brand e i rivenditori di questo settore, sulla base di ciò che fanno (o non fanno) in materia di sostenibilità e di etica.
Questa 'nuova' tendenza in realtà c'è sempre stata, anche se non è mai venuta fuori in maniera così evidente; la pandemia globale sembra però aver spinto i consumatori a fare un bilancio di ciò che è veramente importante e a valorizzare quei marchi che si dimostrano sensibili nei confronti dei lavoratori e dell'ambiente.
Una ricerca coordinata dall'Università di Cardiff ha rilevato, per esempio, che la percentuale di inglesi che ritengono urgente affrontare il cambiamento climatico è passata dal 62% al 74% tra l'agosto 2019 e l'agosto 2020. Inoltre, quasi la metà della popolazione del Regno Unito (il 47%) ha promesso di volare meno di prima, una volta che le restrizioni saranno abolite. Negli Stati Uniti, le notizie riportate dai media hanno messo in evidenza come l'inquinamento dell'aria sia diminuito del 30%, in conseguenza del fatto che molti hanno smesso di guidare ogni giorno per raggiungere il proprio posto di lavoro.
Questi temi dovrebbero riscuotere un certo interesse tra i brand e i rivenditori di moda, dato che quattro consumatori su cinque si sono dichiarati disposti a non acquistare i prodotti di un marchio che manca di valori etici e di sostenibilità. Inoltre, la metà dei consumatori ha già rivelato di essersi tenuta alla larga da aziende del settore moda che hanno ricevuto dai media una cattiva pubblicità a causa della loro negligenza nei confronti dei loro lavoratori e del pianeta.
I consumatori si sono espressi chiaramente. Ciò che vogliono sono brand che:
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trattano i lavoratori in modo equo lungo tutta la loro filiera produttiva
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producono abiti senza danneggiare l'ambiente
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usano imballaggi riciclabili
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offrono programmi di riciclo mirati a estendere la vita dei capi di abbigliamento
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si impegnano in iniziative mirate alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica
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operano secondo valori aziendali trasparenti
Questi sono i punti d'azione che i brand di moda e i retailer devono adottare per conquistare non solo quella metà del mercato che attualmente si fida solo in parte delle aziende di questo settore, ma anche quel quarto di consumatori che invece non si fida affatto di loro.
Quando si tratta di fiducia, devono tenere presente che gli shopper di moda si fidano molto dei consigli e delle recensioni online, due o tre volte in più rispetto agli articoli di riviste patinate, ai social media e alla pubblicità. Mentre, per quanto riguarda le celebrità, queste sono la fonte di informazioni meno affidabile a disposizione dei fashion marketer.
Il messaggio non può essere più chiaro. I consumatori vogliono vedere una moda sostenibile ed etica, e si affidano al passaparola e alle recensioni su quei brand che esprimono questi valori, non ai media e sicuramente non a ciò che le celebrità influencer sono pagate per dire.
Metodologia
London Research è stata incaricata da Trustpilot nel settembre 2020 di condurre interviste su 2.800 consumatori rappresentativi a livello nazionale del Regno Unito (n=1.000), degli Stati Uniti (n=1.000), della Francia (n=200), dei Paesi Bassi (n=200), dell'Italia (n=200) e della Svezia (n=200).
La ricerca è stata condotta utilizzando un gruppo di indagine su Toluna. Per la realizzazione di questo report, London Research ha anche realizzato una serie di interviste.
Ringraziamenti
London Research e Trustpilot desiderano ringraziare le seguenti persone per il loro aiuto nella stesura di questo report:
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Thomas Berry, Global Director of Sustainable Business, FARFETCH
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Lee-Anne Harris, Marketing Director, The Savile Row Company
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Benjamin Heyd, Head of Marketing e co-fondatore, SANVT
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Olivia Pinnock, giornalista di moda e creatrice di The Fashion Debates
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Sophie Slater, co-fondatrice, Birdsong
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Laurel Wolfe, VP of Marketing, Klarna.